Recensioni - Reviews (dal 2015)

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Recensione: ArX AtLantis

inserito il 29 Novembre alle 10:00 da

TrueMetalRedattore

ArX AtLantis

 Band: Il Castello di Atlante
Data di uscita: 2016
Etichetta:
Aenima Records
Genere: Progressive
Nazione:

Il primo aggettivo che nasce spontaneo per definire ArX AtLantis) è “commovente”. I cinquanta minuti racchiusi in questo album composto da cinque lunghi brani sono un tributo alla storia de Il Castello di Atlante (il titolo è la traduzione in latino del moniker) e al contempo segnano la volontà del combo italiano di continuare a proporre ottima musica, in parte “rinnovata”, in parte fedele al passato glorioso della band, che celebra un traguardo importante in carriera, come leggiamo nel booklet:

Questo album celebra il quarantesimo anniversario della nostra band.
Tutto nacque nel 1974 e, dopo 40 anni,
stiamo ancora suonando la nostra musica.
Se non fosse mai esistito Il castello di Atlante,
avremmo avuto una storia differente
e saremmo stati uomini diversi.

L’artwork è bellissimo, poesia pura, così i testi, dai temi fantastici ma anche storici ("Ghino e l’abata di Clignì") ed epici ("Il tempo del grande onore"). Un tocco di classe, inoltre, la trovata di includere le traduzioni in inglese nel libretto, i nostri hanno buon seguito anche all’estero. L’intento di proporre un sound più diretto è subito chiaro nell’attacco dell’opener, “Non ho mai imparato”, con un drumwork energico, che ricorda da vicino le prodezze di un certo Mike Portnoy. Tutto funziona alla perfezione, base ritmica e strumenti solisti: ritroviamo l’accostamento violino-chitarra elettrica, marchio di fabbrica del Castello, con Andrea Bertino subentrato allo storico membro Massimo Di Lauro (qui ospite nella penultima canzone in scaletta). A metà brano l’atmosfera cambia, si passa a tempi dispari di matrice Yes. I testi sono il valore aggiunto (e possiamo goderceli in lingua originale): “Solo nella notte, con le tue parole in mente / Solo nella notte, sfiorando questi tasti / Non ho mai imparato a protegger il mio cuore”. La suite si chiude in modo circolare, l’unica cosa che non convince sono le voci, che puntano tutto sul pathos, trascurando il lato tecnico.
Il vecchio giovane” è un brano che vede una presenza più pervasiva delle tastiere, una delizia sonora, ascoltare per credere: melodie e riff apparentemente scontati riescono a creare intrecci sonori raffinati e cangianti. L’inizio di “Ghino e l’abate di Clignì” può essere scambiato, niente meno, per l’avvio di un brano degli Haggard! In realtà si tratta di un’altra song progressive che traccia un ritratto sonoro del celebre brigante contemporaneo di Dante Alighieri. Nei minuti finali compare anche una compassata doppai cassa e come ospite di tutto riguardo figura Tony Pagliuca (Le Orme) alle tastiere. Si parla, invece, di cavalieri e di Galahad nella seguente “Il tempo del grande onore”, pezzo più Seventies e con un ritornello catchy (che ricorda vagamente gli Area
).
La suite finale, “Il tesoro ritrovato” è la summa dell’inventiva messa in campo dal Castello. Regge il confronto con mostri sacri del prog. aurorale e contemporaneo (come Neal Morse e The Flower Kings), ma anche con band come IQ e Pendragon. Un capolavoro, un divertissement sonoro che ritempra l’anima dell’ascoltatore giudizioso.

ArX AtLantis è un album da gustare in tutti i suoi aspetti e gode di buona longevità. Il Castello di Atlante non ha perso la sua magia nell’irretire e svagare le menti dei fan; l’unico difetto resta la prova al microfono dei nostri, ma la cosa sembra calcolata, in nome di un’umana sprezzatura che rifugge la fredda perfezione. Curiosamente, infine, pare che le band che hanno l’articolo determinativo nel proprio moniker siano destinate a grandi cose, basti pensare a gruppi come: Il bacio della medusa, Il balletto di bronzo, Il cerchio d’oro, Il segno del comando, Il Tempio Delle Clessidre e Il trono dei ricordi. Un sincero grazie va a tutti quati musicisti di grande levatura, che hanno puntato sulla musica per dare senso alla vita.

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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 29 dicembre 2016 

Il Castello di Atlante

ARX ATLANTIS

2016 - Aenima Recordings 

#consigliatodadistorsioni

una trasvolata artistica che attraversa quattro decenni di ambizioni e passioni progressive (o neo prog che dir si voglia) quella tracciata dalla formazione vercellese de

Il Castello di Atlante

; formatasi nel capoluogo piemontese nel 1974, dopo l'incisione di un 45 giri ed alcune cassette promozionali, la band è riuscita ad inizi anni novanta nell'impresa di dare alle stampe il proprio debut album (

“Sono io il signore delle terre a nord”

E'

(traduzione dal latino del moniker del gruppo), all'interno del quale rinveniamo a tirare le fila tre musicisti che hanno accompagnato 'passo dopo passo' (titolo tra l'altro di un loro significativo lavoro) l'intera parabola musicale del combo castellano:

Paolo Ferrarotti

(batteria e voce),

Dino Fiore

(chitarrista). Al fianco del trio di veterani altrettanti talentuosi innesti dell'ultimo periodo quali il violinista

Andrea Bertino

, il tastierista

Davide Cristofoli

e il batterista

Mattia Garimanno

.

(basso) e

Aldo Bergamini

nel 1992) rimanendo in seguito stabilmente in pista, con alterne fortune, sino ai giorni nostri. Otto album all'attivo, collaborazioni a progetti internazionali e una line-up che sebbene fisiologicamente mutata con lo scorrere del tempo non ha mai abbandonato le proprie velleità stilistiche primordiali, facendo leva ininterrottamente sugli storici componenti cardine. Una prerogativa valida anche per questo inedito capitolo discografico dal ramingo artwork di copertina -primo interamente autoprodotto- battezzato

“Arx Atlantis”

Cinquanta minuti di evoluzioni sinfonico rock modellano la scaletta di “Arx Atlantis” dissipando risonanze tanto care alle produzioni-caposaldo di genere. Raffinati echi folk in contesti dalle cromature medioevali prendono vita disegnate dalle giullari divagazioni del violino; epiche scorribande di tastiera e struggenti soli della sei corde si attorcigliano secondo i collaudati canovacci del dna artistico de Il Castello di Atlante. Ed è proprio nelle significative suite che delimitano la track-list (l'introduttiva Non ho mai imparato e l'epilogo Il tesoro ritrovato) e nelle intense visioni sprigionate da Il vecchio giovane che si concentrano maggiormente tali elementi identificativi, rivelandosi l'ideale biglietto da visita del progetto. E se la storica 'Orma' Toni Pagliuca compare nelle vesti di ospite e coautore in Ghino e l'abate di Glignì, suggestiva rilettura della novella del brigante buono, il castellano della prima ora Massimo Di Lauro arricchisce con il suo prezioso strumento a corde le nostalgiche gesta cavallereschede Il tempo del grande onore.

Tra le realtà più longeve dello scenario progressivo tricolore, con un significativo seguito di estimatori aldilà dei confini nazionali (sorte condivisa con buona parte degli artisti del movimento) Il Castello di Atlante sembra non accusare l'implacabile ingiallimento della propria carta d'identità rilasciando una performance che, sebbene in perfetta linea con il consueto modus operandi, appare adeguatamente ispirata e degna di entrare a far parte dell'imponente e variegato archivio di genere. Un mirabolante crossover tra alchimie seventies ed ammicchi neo prog, e soprattutto di tecnica e consapevolezza; l'inatteso gradito ritorno nel fatato palazzo del mago.

Alessandro Freschi

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Appunti sulla nostra partecipazione al Terra Incognita Convention 2015 di Quebec City estratto da "PROG ARCHIVES.COM"

Posted: May 18 2015 at 19:41

Sunday's shows began with Frogg Café, a great & crazy bunch of Long Island musicians with Zappa influences all over their Jazz-tinted music! Energized like they were, we also got charged by their hot presentation! If you like Jazz-Rock and/or Zappa, you won't regret listening to their albums! A must-see concert!

We were blessed to have Il Castello di Atlante come play for us for the second time in 3 years! Their musicianship & humor have always been appreciated and I suspect that they also like our small chapel & the craziness of its audience! The Italians played for us lots of old & forgotten compositions which the audience recognized almost immediately! Another magical moment!

Last but not least was Kaipa Da Capo, or the first generation of Kaipa. It was the third presence of Roine Stolt at the Convention (first with Agents Of Mercy in 2011, then with The Flower Kings in 2013). The old repertoire was visited, much to the audience's delight! Roine Stolt even shared souvenirs of the band's first representations in Quebec City some 35-40 years ago and, yes, some of the audience were there back then!! It probably explains why the average age of the crowd is over 50!  

So ends another great weekend with star performances by international stars, far & near! It was, as usual, masterminded by Michel Bilodeau, a Prog maniac who would give his shirt to listen what he likes best! Thanks to him, we have a place where we can share our «crazy» tastes for Prog. We meet friends, old & new, and share our passion while opening our musical boundaries a bit more at each new Convention. And most of the artists mingled in the crowd at one moment or another to talk about, what else, music!! Such a delight for us crazed fans! Still worth every dollar paid! Can't wait for the next Terra Incognita Convention!

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 Articolo su "Daily Rock" by Karina Charbonnier

 www. DAILY-ROCK – Festival de musique progressive

Terra Incognita 2015 – Quebec City

IL CASTELLO DI ATLANTE

Ce groupe d’Italie est venu à la convention il y a deux ans, c’était donc un retour pour lui et le public l’a accueilli chaleureusement. Tout au long du set, j’ai constaté que le band réussissait très bien à toucher son public, autant par l’émotion de ses chansons que par son interaction avec la foule. Les membres avaient beaucoup de plaisir à jouer, ils n’hésitaient pas prendre place parmi le public et faire taper des mains. L’un des membres est même venu s’asseoir à côté de moi pour chanter! Côté musical, c’était intense du début à la fin: solos de guitare, de piano, de violon, etc. On aurait parfois dit de la musique de film tellement c’était rempli d’émotion.

BY Karina Charbonnier

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Recensione di Arx Atlantis by Bernard Duguè

http://www.agoravox.fr/culture-loisirs/culture/article/il-castello-di-atlante-les-anciens-180602

Il Castello di Atlante ; les anciens du prog italien assurent

par Bernard Dugué (son site)
vendredi 6 mai 2016

 Lorsqu’on est entré dans la passion du rock progressif, on n’en sort plus et on reste fidèle à ses engagements esthétiques. Telle est la philosophie pratiquée par le bassiste Dino Fiore et le claviériste Paolo Ferrarotti. Ces deux amis d’enfance se sont associés pour constituer le noyau central d’une formation de rock progressif italien et ont commencé à jouer au milieu des années 1970, lorsque le rock avait atteint ses destinations esthétiques les plus abouties, surtout en Italie. 40 ans après, ces deux musiciens sont encore en service et ont signé les compositions du dernier album intitulé Arx Altantis paru au printemps 2016. C’est le sixième album de Il Castello di Atlante, formation très présente sur la scène et s’est mis à sortir quelques CD depuis 1992, soit plus de quinze ans après la naissance du groupe. Je les ai vu il y a quelques années au Crescendo et je peux témoigner de leur efficacité redoutable.

Arx Atlantis a été édité par AEnima Recording qui est le label indépendant associé au studio d’enregistrement éponyme. La line-up complète comprend sept instrumentistes. Au quintet de base où figurent la voix, la batterie, la guitare, la basse et les claviers, se sont greffés deux violonistes. Ce qui donne une coloration spéciale et très chaleureuse à cette musique conçue comme une synthèse équilibrée entre le rock, le symphonisme, un peu d’impro à la Jean-Luc Ponty et une atmosphère toute méridionale avec quelque réminiscences du folklore italien. Le CD dure 50 minutes étalées sur cinq compositions. On est tout à fait dans le format progressif et bien entendu, à l’écart des standards pour radios généralistes dont le propre est d’être allergique aux morceaux dès qu’ils dépassent les 4 minutes et ne sont pas coulés dans le moule simpliste couplet refrain. Néanmoins, les musiciens de Il Castello ne font pas dans les expérimentations sonores ésotériques et complexes. Le résultat est très mélodique, avec une voix rocailleuse comme on en trouve dans toute l’Italie et une chaleur musicale jouée avec force et puissance. C’est enjoué, rythmé, parsemé de fioritures et presque baroque, avec les parties de violon rappelant cette vieille formation confidentielle que fut Quella Vecchia Locanda ou plus récemment, les exécutions progressives endiablées de la jeune formation Ingranaggi Della Valle.

Il ne faut pas hésiter à se laisser entraîner par cette musique riche en émotion et qui sans atteindre les sommets du baroque progressif, n’est jamais ennuyeuse à écouter. Sur le premier morceau, on appréciera le tempo et ces nappes rageuses jouées à l’orgue vintage. La guitare se montre lyrique sans démonstration technique. Le style légèrement heavy avec cet orgue rageur rappelle les premiers albums de Uriah Heep. Un bel équilibre entre mélodies et fioriture complétées par l’entrée en scène du violon après le tempo saccadé, les breaks et la voix bien perchée conférant à l’ensemble un côté expressionniste. On aura pu apprécier les parties de piano jouées en virtuosité avec la dextérité d’un musicien de conservatoire. Ce qui ne surprend guère, la plupart des claviéristes du prog ayant une formation classique. Ce premier morceau passe par plusieurs couleurs et malgré la fausse évidence de facilité, il se révèle au fil des écoutes comme étant assez complexe. Surtout vers la fin des quelque 14 minutes que dure cette composition et qui laisse s’envoler le violon, conférant à l’ensemble ce côté chaleureux. Un clin d’œil musical envoyé depuis un pays où le soleil est tout un art. Les quatre morceaux suivants sont de la même veine, inventifs, avec une batterie qui ne fait pas que servir de métronome et joue de concert avec les autres instruments.

On conseillera ce dernier CD de Il Castello à ceux qui souhaitent faire connaissance avec la production progressive italienne mais prudemment, sans entrer dans les œuvres les plus compliquées et plus difficile d’accès. La présentation dans un digipack justifie l’acquisition de cette œuvre qui finira honorablement dans une discothèque de mélomanes. A noter l’invitation sur le troisième morceau de Tony Pagliuca qui n’est autre que le claviériste de Le Orme. 4 stars sur 5.

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Recensione di Arx Atlantis by Alberto Centenari

Arx Atlantis è un bellissimo e quanto mai riuscito affresco di rock progressivo

Si torna a parlare di rock progressivo sulle pagine della nostra zine con l’ultima opera di Il Castello Di Atlante, storica band piemontese, attiva dal 1974 e con otto precedenti album usciti dall’inizio degli anni novanta in avanti.

L’esordio infatti è datato 1992 (Sono io il signore delle terre a nord), poi una serie di lavori che portano il gruppo fino a Cap. 8 Live di due anni fa.
Arx Atlantis è un bellissimo e quanto mai riuscito affresco di rock progressivo, che immortala la tradizione dello stivale nel genere, traghettata dal decennio settantiano fino ai nostri giorni da un numero di band dall’alto tasso qualitativo, con lavori che sono entrati di diritto nel gotha del rock progressivo internazionale.
Storie di altri tempi dai rimandi folk, stupende e ariose armonie tastieristiche, il violino che riempie l’atmosfera di melodie trasportate nel tempo, un viaggio tra racconti che donano una magica aura di immortalità, sono le prime impressioni suscitate dall’ascolto di canzoni sognanti come l’opener Non Ho Mai Imparato o Il Tempo del Grande Onore, rigorosamente cantate in italiano e suonate meravigliosamente dai sette musicisti, con l’aiuto dei tasti d’avorio di Tony Pagliuca delle ombre sulla splendida e medievale Ghino e L’Abate di Clignì.
Un genere il progressive che spesso si è chiuso in sé stesso, costruendosi un mondo a parte nel vasto panorama della musica rock, importantissimo per lo sviluppo della musica contemporanea, non solo quindi sfoggio di mera tecnica strumentale ( in abbondanza su questo lavoro) ma scrigno di emozioni senza tempo che Il Castello Di Atlante regala all’ascoltatore, come dei moderni cantastorie, menestrelli in questo mondo dove la realtà, specialmente quella più orrenda, supera la fantasia.
Ed allora salutate il mondo per una cinquantina di minuti e fatevi travolgere dalle melodie che escono sublimi dallo spartito di Arx Atalantis, opera che dalla prima all’ultima nota del capolavoro Il Tesoro Ritrovato (brano che chiude il cd), non risparmia travolgenti cambi d’ atmosfere, ritmi che si rincorrono, sinfonie progressive di rara bellezza in un crescendo
di emozioni senza fine.
Per chi ama il genere Arx Atlantis è l’ennesimo album imperdibile creato dal gruppo piemontese, l’anno di nascita ed il curriculum di cui la band si può vantare mi inducono a non parlare di influenze ma al limite di paragoni, che vanno dai Genesis ed E.L.P. ai nostri mostri sacri come Il Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme e PFM.

P.S. Un consiglio per i più giovani : ascoltate e riascoltate gruppi come Il Castello Di Atlante, fonte del lungo fiume di band che alimentano il mare del metallo progressivo contemporaneo.

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Recensione di Arx Atlantis by Juergen Meurer

Von Juergen Meurer am 1. Mai 2016 Reviews

 ARX ATLANTIS - IL CASTELLO DI ATLANTE (ITALY)

(47:19, CD, Aenima Recordings, 2014)
Was ihren Bekanntheitsgrad anbelangt, mögen Il Castello di Atlante zur zweiten oder dritten Garde der italienischen Prog-Szene gehören, an mangelnder Qualität liegt dies aber kaum. An fehlender Erfahrung auch nicht, denn die Band existiert schon seit über 40 Jahren – um genau zu sein: seit 1974. Beim Baja Prog Festival 2014 feierte die Band ihr rundes Jubiläum, und das bei bemerkenswert konstantem Line-up. Anlässlich dessen trägt die hier vorliegende CD den Untertitel „Special Limited Edition For Baja Prog 2014“.

„Arx Atlantis“ besteht aus gerade mal vier Songs, eingespielt von folgendem Sextett:
Aldo Bergamini – guitars / vocals
Andrea Bertino – violin
Davide Cristofoli – keyboards 
Dino Fiore – bass
Paolo Ferrarotti – drums / keyboards / vocals
Mattia Garimanno – drums

Auf einem Track löst Andrea Bertoni Geiger di Lauro ab, und letztes Jahr kamen Il Castello di Atlante mit dem ehemaligen Le Orme-Keyboarder Toni Pagliuca zusammen, wie man hier sehen kann:

Zusätzlich zur hier besprochenen „Arx Atlantis“-Ausgabe gibt es wohl eine weitere Version, die mit ‚Ghino e L’Abate di Clignì‘ einen zusätzlichen Song im Angebot hat, bei dem eben dieser Toni Pagliuca mitwirkt.

Was das Line-up schon erahnen lässt, stellt sich als richtig heraus: Il Castello Di Atlante bieten symphonischen Prog typisch italienischer Machart. Der Gesang in Muttersprache passt dabei genau ins Bild, er wird auf verschiedene Bandmitglieder verteilt und geht meist in Ordnung. Überhaupt funktioniert die Teamarbeit sehr gut. Tasten, Gitarre und Geige stehen sich gleichberechtigt gegenüber, da gibt es keinen übermäßig dominanten Faktor, es wird mannschaftsdienlich gearbeitet. Das Resultat ist ausgewogener Symphonic Prog, der zwar nicht unbedingt spektakulär sein mag, aber Fans der italienischen Spielart dieser Musikrichtung sicher nicht enttäuscht. Das feine Album kommt im Digipak.
Bewertung: 10/15 Punkten

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lunedì 25 gennaio 2016

IL CASTELLO DI ATLANTE: OLTRE 40 E SEMBRA IERI

(articolo pubblicato sul n.4 della rivista PROG di Guido Bellachioma)

OLTRE 40 E SEMBRA IERI

La band di Vercelli ha ormai superato la soglia dei 40 anni di attività ma con il nuovo album "Arx Atlantis" sembra avere la voglia intatta di portare avanti il proprio prog che ora non disdegna, almeno nei suoni, qualche tocco più di "frontiera". Le storie del Castello ce le racconta Paolo Ferrarotti, batterista, tastierista e voce del gruppo.

La band di Vercelli ha ormai superato la soglia dei 40 anni di attività ma con il nuovo album "Arx Atlantis" sembra avere la voglia intatta di portare avanti il proprio prog che ora non disdegna, almeno nei suoni, qualche tocco più di "frontiera". Le storie del Castello ce le racconta Paolo Ferrarotti, batterista, tastierista e voce del gruppo.
Il Castello di Atlante, avendo ormai oltrepassato la soglia dei quarant’anni di attività, è tra i gruppi più longevi del prog italiano.
Paolo Ferrarotti: Tutto è iniziato nel settembre del 1974 quando, con Dino Fiore, decidemmo di formare un gruppo musicale. Poco tempo dopo, con noi, arrivarono Massimo Di Lauro e Aldo Bergamini. In pochi mesi scrivemmo “Il saggio” e “La foresta dietro il mulino di Johan” brani che, ancora oggi, eseguiamo in concerto.
Qualche tempo dopo ci fu il famoso contatto con la prestigiosa Cramps.
Fu tre anni dopo quando, a Vercelli, vennero a suonare gli Area e conoscemmo Patrizio Fariselli che ci mise in contatto con la loro casa discografica. Dissero che le nostre musiche erano molto interessanti ma non altrettanto i testi, poco impegnati politicamente. Per lavorare con loro avremmo dovuto modificare diverse cose ma, per non voler “sporcare” la nostra musica con temi sociali o politici, non se ne fece nulla. Col senno di poi, se avessimo pubblicato un album con loro in quegli anni, la storia sarebbe stata ben diversa.
Il gruppo cominciava comunque a farsi conoscere e ad avere una sua precisa autonomia.
Per dare maggior spazio al violino, arrivò Roberto Giordano alle tastiere e, nel 1982, ci fu il nostro l’esordio discografico con “Semplice… ma non troppo”, un 45 giri che tuttora fa parte dell’attuale scaletta live. Ci vollero però altri dieci anni per arrivare a pubblicare “Sono io il Signore delle terre a nord”, il nostro primo album che, grazie alla mediazione di Beppe Crovella (Arti &Mestieri), si inserì nella collana “New Prog 90” della Vinyl Magic: un disco che ebbe un ottimo riscontro sia di critica che di mercato.
Un periodo piuttosto prolifico dove il prog, anche da noi, cominciava a rialzare la testa.
Verissimo anche se, per sfruttare il momento e per la fretta, invece di registrare ex-novo le nostre vecchie canzoni per il nuovo album - convinti dal nostro produttore - utilizzammo le vecchie registrazioni. La nostra idea era quella di risuonarli totalmente ma, per entusiasmo o per ingenuità, accettammo il compromesso. Giustamente la critica ci impallinò. La qualità sonora di “Passo dopo passo” era veramente indegna e, in alcuni casi, le stesse esecuzioni lasciavano a desiderare. Ci giocammo così la possibilità di rielaborare pezzi che avrebbero certamente meritato miglior sorte. Ci rimettemmo così al lavoro per realizzare “L’Ippogrifo” con altri vecchi brani ma, questa volta, riarrangiati e registrati in studio.
Esauriti i brani scritti nel vostro primo ventennio, con quell’album si chiuse una prima fase.
E’ così! Con “Come il seguitare delle stagioni” cominciammo a scrivere nuove composizioni. Nel 2003 fu la volta di “Quintessenza” che, tra gli altri, contiene anche “Ilmarinen forgia il Sampo”, un brano confluito successivamente nel monumentale Kalevala (4 cd), il poema epico finlandese abbinato alla rivista “Colossus”. L’essere stati selezionati, insieme ad altre 30 prestigiose band mondiali, fu veramente gratificante.
Un successo ottenuto - nemo propheta in patria - soprattutto al di fuori dei nostri confini.
Sostanzialmente quello fu in primo passo, il secondo la partecipazione al festival “Baja Prog” a Mexicali, nel 2005. Un’esperienza che ci ha aperto una strada privilegiata con l’estero dove il prog è molto più popolare che da noi. Dopo l’uscita di “Concerto Acustico” - un album unplugged registrato dal vivo - decidemmo di sospendere i concerti per dedicarci a “Cap. 7 - Tra le antiche mura” e alla partecipazione del secondo progetto Colossus, basato questa volta sulla Divina Commedia. Il disco fu il viatico per un tour giapponese con ben cinque date. Vedere l’ordinata e silenziosa fila di persone fuori dal Club Mission’s di Tokyo fu davvero impressionante. Fu un buon biglietto da visita poiché, negli anni successivi, suonammo moltissimo e soprattutto all’estero.
Alla fine di quel periodo ci fu un cambio di formazione…
L’arrivo di Mattia Garimanno alla batteria fu un fatto quasi epocale per noi che, caso più unico che raro, eravamo gli stessi degli inizi. Mattia fece il suo esordio al festival “2 Days Prog” di Veruno di fronte a oltre 3.000 persone.
Continuava frattanto il vostro successo oltre frontiera.
Nel 2011 uscimmo con “Una sera… a Tokyo”, il nostro primo dvd registrato nel tour giapponese che, in anteprima e con grande successo, venne presentato in Lituania al festival “Baltic Prog Fall” di Vilnius. L’anno successivo vivemmo una delle nostre esperienze più straordinarie: possiamo dire con fierezza di essere tra i pochissimi gruppi italiani ad aver suonato in Indonesia. Se il Giappone, in quanto a stile di vita è una fotocopia degli Stati Uniti, era la prima volta che visitavamo un paese con cultura e tradizioni non occidentali. Pochi mesi dopo presentammo “Cap. 8 - Live”, il nostro nuovo dvd, in un tour che toccò il Messico, gli Stati Uniti e il Canada: più di 6.000 km attraverso le highway del Nord America! Quel tour fu l’ultimo con Massimo Di Lauro che, per motivi famigliari e dopo ben 40 anni, fu costretto ad abbandonare l’attività. Anche se non è più con noi Massimo continua comunque a far parte della band: il suo nome compare anche nell’ultimo album ed è sempre uno dei nostri. Al suo posto oggi c’è Andrea Bertino, un violinista di impostazione classica del Rondò Veneziano di Giampiero Reverberi. In coda a quell’anno venne pubblicata anche la versione De Luxe di “Cap. 8 - Live” (doppio cd + dvd con packaging a libro) realizzata con la produzione di José Salas della messicana Azafran Media, cofanetto che abbiamo presentato al “Baja Prog” di Mexicali.
Subito dopo arrivò anche un musicista storico: l’ex tastierista delle Orme Tony Pagluca…
Fu verso la fine del 2014 quando, dopo la fuoriuscita dal gruppo di Roberto Giordano, Tony accettò la nostra offerta. Un fatto che, agli inizi, nessuno di noi si sarebbe mai neanche sognato.
Rientrati dal Canada, dopo aver partecipato al festival “Terra Incognita”, con lui collaborammo alla nuova proposta di Colossus, il Decamerone del Boccaccio, dove lavorammo sulle novelle di Ghino di Tacco e dell’Abate di Clignì.
Una collaborazione, però, di brevissima durata.
Già a settembre ci rendemmo conto che gli impegni di Tony, legati all’uscita di “Wake Up” il cd con i discorsi di Papa Francesco, erano inconciliabili con la nostra necessità di avere un tastierista a tempo pieno così, di comune accordo, decidemmo di interrompere la collaborazione. Il nuovo tastierista, Davide Cristofoli, è comunque un giovane dotato di grande talento.
Siamo così arrivati ai giorni nostri, con un cd  nuovo di zecca.
Con “Arx Atlantis” vogliamo continuare a realizzare i nostri sogni che poi non sono altro che suonare in giro per il mondo e condividere le nostre emozioni con gli amanti del progressive rock.
Il nuovo lavoro è molto diverso dagli altri: in parte abbiamo abbandonato le sonorità morbide e romantiche per privilegiare toni più asciutti e dinamici. I temi e gli spunti nascono comunque dalle nostre esperienze. Qualsiasi cosa ci colpisca prima o poi finisce per essere messa in musica. In fondo non è che l’utopia de “Il vecchio giovane”, un brano presente nell’album: “…E’ importante avere dei sogni, liberare la mente e sognare”.
“Il vecchio giovane”, uno dei brani di punta di “Arx Atlantis”, un album decisamente maturo e forse il punto più alto mai raggiunto dal Castello di Atlante: stacchi energici, toni suadenti, arpeggi celestiali… La parte strumentale, soprattutto ne “Il tempo del grande onore” è davvero coinvolgente.
Rispetto agli album precedenti, il processo di produzione di “Arx Atlantis” ha subìto una vera e propria evoluzione, dalle tecniche di registrazione, allo studio di incisione. Insieme a Mattia - che ne è anche l’ingegnere del suono - abbiamo svecchiato il nostro sound senza però venir meno ai classici timbri vintage propri del prog, quali Hammond, Mellotron e Moog, strizzando l’occhio ai suoni dell’avanguardia sulla falsariga dei nostri degni colleghi d’Oltralpe! L’aver lavorato in maniera così omogenea agli arrangiamenti - ognuno con le proprie idee e influenze - ha dato al nuovo disco la classica marcia in più. Più contaminazioni riceve e più il prog  diventa interessante.
Un piccolo appunto lo riserverei ai testi: toni d’acquerello che, seppur venati di buoni valori, non rendono comunque piena giustizia a un lavoro che privilegia soprattutto le parti strumentali. Testi più ermetici non avrebbero ottenuto il classico valore aggiunto?
In passato alcuni organi di stampa avevano criticato i nostri testi perché troppo ermetici. Probabilmente allora era più in auge qualcosa di più leggero, cosa che invece abbiamo cercato in questa nuova produzione, curiosi di cosa sarebbe potuto uscirne. Raccogliamo la nota costruttiva per migliorare e migliorare ancora per le nostre future produzioni.

 Franco Vassia

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 Bellissima recensione di Arx Atlantis by Cesar Inca Mendoza

Crítica del disco de Il Castello Di Atlante - 'Arx Atlantis' (2016)

César Inca Mendoza | 26 julio 2016 | Críticas de discos

La ciudadela renovada del sinfonismo italiano

Il Castello Di Atlante - 'Arx Atlantis'
(19 abril 2016, Pick Up)

Hoy nos toca presentar el nuevo trabajo fonográfico de la curtida y prolífica banda italiana IL CASTELLO DI ATLANTE, titulado “Arx Atlantis”. El nombre del disco, publicado a fines del pasado mes de marzo por vía del sello Aenima Recordings, significa lo mismo que el de la banda en el idioma latín. La formación del grupo consta de los veteranos de siempre Aldo Bergamini [guitarras y voz] y Paolo Ferrarotti [teclados, batería y voz] junto a Andrea Bertino [violín], Davide Cristofoli [teclados], Dino Fiore [bajo] y Mattia Garimano [batería]: de estos cuatro últimos, Fiore es el que lleva más tiempo como integrante del grupo. En el caso de Garimano tenemos a un baterista permanente que reemplaza parcialmente al baterista original y aún vigente miembro Ferrarotti, el cual prefiere en su actual edad pasarse al rol de segundo teclista y ocasional baterista adicional mientras sigue alternando roles vocales con su colega eterno Bergamini. La línea de trabajo de IL CASTELLO DE ATLANTE sigue centrada en cultivar un sinfonismo rico y estilizado, fiel tanto a la tradición de la primera escuela británica como a la primera escuela de su propio país. Junto a la vitalidad de YES y la espiritualidad de GENESIS conviven la magia de PREMIATA FORNERIA MARCONI, el lirismo prístino de LOCANDA DELLE FATE, la calidez señorial de LE ORME y la fuerza de METAMORFOSI. La gente de IL CASTELLO DI ATLANTE siempre ha sabido darle un sabor propio a la amalgama de las influencias recibidas, y en el caso de este bello disco que es “Arx Atlantis”, ésta sigue siendo la regla. Pasemos ahora a los detalles del disco en cuestión.

Ocupando un espacio de 10 ¼ minutos, ‘Non Ho Mai Imparato’ da inicio al repertorio con una fastuosidad irresistible, rebosante de magnetismo melódico, el mismo que es perpetrado con un refinado punche rockero. La intensa y extrovertida amalgama de riffs guitarreros y orquestaciones de múltiples teclados viene oportunamente sazonada por retazos de violín. Poco antes de pasar la barrera del quinto minuto y medio, el grupo transita a un motivo más furioso que el anterior, lo cual abre campo para el ulterior explayamiento de un solo de órgano. Es una pena que este motivo, con todo el gancho que tiene, sea tan breve, pero es suficiente para elaborar un clímax señorial antes de que un pequeño puente ceremonioso retome el motivo inicial con miras a gestar una conclusión majestuosa para la canción. Una gran apertura para el álbum, sin duda, y la misión de sucederla está a cargo de ‘Il Vecchio Giovanne’… y la misión se cumple con rotunda solvencia. En efecto, esta pieza que es solo un poco menos extensa que la primera despliega un atrapante y conmovedor colorido melódico trazado por un lirismo contundente en su refinamiento romántico, el mismo que a lo largo del camino se beneficia de ocasionales ornamentos manieristas. El encuadre de violín y teclados ocupa un rol más destacado dentro del esquema instrumental, lo cual ayuda a que el sentido orquestal de la composición se muestre particularmente relevante. ‘Ghino E L’Abate Di Cligni’ se centra en recursos de expresividad sobria y serena: el escenario sonoro porta una espiritualidad relajada como si estuviera envuelta bajo el manto de una bruma otoñal, algo muy afín a lo que notamos en los momentos más solemnes del paradigma Genesiano, y también en los dos primeros álbumes de PFM. Cabe señalar el rol que cumple Tony Pagliuca como invitado especial a los teclados: sí, nos referimos al tecladista histórico de LE ORME, uno de los grupos crucialmente influyentes en el desarrollo histórico de la visión musical de IL CASTELLO DI ATLANTE.

La antepenúltima pieza del álbum se titula ‘Il Tempo Del Grande Onore’ y ciertamente se trata de la canción más ligera del álbum. Tras un breve pasaje preparatorio signado por un groove tribal de talante misterioso, la canción da rienda suelta a su vitalismo directo. Un breve interludio reposado sirve para consolidar al motivo central rumbo a su reprise conclusivo. No debemos pasar por alto la anécdota entrañable de que para esta ocasión Massimo Di Lauro aparece como invitado especial al violín: este músico que estuvo en la banda desde su origen nos obsequia una despedida por la puerta grande para el deleite de nuestros oídos. Durando cerca de 16 ½ minutos, ‘Il Tesoro Ritrovato’ cierra el álbum con una sólida síntesis de los aspectos esencialmente sinfónicos con los que se ha venido obsequiando a nuestros oídos a lo largo del álbum. Comenzando con una apertura solemne a lo YES, el grupo saca buen provecho de la situación para desplegar un efectivo retrato de los efluvios emocionales propios de la actitud contemplativa: las escalas de piano a la base sirven de asidero especial para esto, así como el canto compartido por Ferrarotti y Bergamino. Más adelante, el grupo gira a una sección más animada en la que el factor Yessiano se mezcla perfectamente con los aromas esenciales de los paradigmas respectivos de PREMIATA FORNERIA MARCONI y LOCANDA DELLE FATE. Si bien la patente prestancia de este ambiciosamente extenso tema no llega a igualar el esplendor establecido en las dos primeras canciones del álbum – sus puntos culminantes, según nos parece –, no deja de ser un cierre idóneo para el repertorio de “Arx Atlantis”, habida cuenta que su luminosidad melódica se deja llevar grácilmente por sus perpetuos centelleos sinfónicos. La orquestación final y el golpe postrero de gong completan el cuadro sonoro con total cabalidad.

Todo esto fue “Arx Atlantis”, un disco muy bello, tal como dijimos en algún lugar del primer párrafo de la presente reseña. La propuesta de IL CASTELLO DI ATLANTE sigue asentada como una firme ciudadela dentro de la élite prog-sinfónica de Italia, y teniendo en cuenta que la alineación del grupo ha recibido una renovación parcial, esto puede muy bien significar que aún nos deparan muchas obras de gran factura de parte de esta entidad musical. Por lo pronto, recomendamos “Arx Atlantis” como el estupendo disco que es.

 César Inca Mendoza

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 Intervista con Guido Michelone per "L'Isola che non c'era" web magazine di musica italiana

L'ISOLA DELLA MUSICA ITALIANA

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Con il contrabassista de Il Castello di Atlante tra passato, presente e progetti futuri

Qualche giorno fa la band piemontese il Castello di Atlante è partita alla volta di Quebec City per partecipare al Terra Incognita Convention, dove hanno suonato il 17 maggio in uno dei più importanti appuntamenti al mondo di prog rock o musica progressive che dir si voglia. Il Castello è una realtà atipica nel panorama sonoro tricolore: il sestetto inizia giovanissimo durante i Seventies avendo di fronte mostri sacri come Banco, PFM, Orme, Area, Perigeo e decine di altri nomi di indiscusso valore, che gli precludono subito la produzione discografica, che avverrà molto tempo dopo grazie alla costanza e alla coerenza di un ensemble che ha sempre perseguito un ideale di arte e cultura che da circa vent’anni sta dando i suoi frutti a livello mondiale, come spiega il veterano contrabbassista Dino Fiore in quest’intervista in esclusiva per L’isola che non c’era.

Così, a bruciapelo chi è o cos’è il Castello di Atlante ?
Il Castello di Atlante non è solo una band di rock progressive, è anche la nostra seconda casa. Quella dove ci troviamo per parlare di tutto quanto abbiamo bisogno, per fare bisboccia, per discutere, per scherzare e ovviamente per suonare. Nel 2014 abbiamo festeggiato i quarant’anni di attività e ti posso confessare che, alla resa dei conti, è stata ed è ancora una gran bella avventura, musicale e soprattutto personale.  Un viaggio incominciato che eravamo ragazzini e che continua con un costante impegno e un grande entusiasmo e con la voglia di creare cose sempre nuove, di comporre musica e di stare insieme. Infatti alla base di tutto quanto esiste l’amicizia, un legame indissolubile che ci mantiene integri nel tempo nonostante le mode e gli stili di vita, i mutamenti delle epoche che ovviamente hanno modificato la musica e le tecniche interpretative e compositive, ma non il grande rapporto che ci unisce oramai in maniera granitica. 

Come vi siete conosciuti? Quale era la formazione originaria e che cambiamenti ci sono stati fino a oggi?
Il tutto iniziò quando alla fine degli anni Sessanta Paolo Ferrarotti e io abitavamo nella stessa via, a Vercelli, uno di fronte all’altro. Tra un gioco e l’altro abbiamo capito che eravamo innamorati della stessa “ragazza”: la musica. E così decidemmo che dovevamo suonare insieme, considerato che entrambi già avevamo delle bands nelle quali militavamo. E poi era il progressive rock che ci univa ancora di più, con le notti in bianco passate a sentire i dischi dei Genesis, Gentle Giant, ELP, Banco, Yes. In pochi mesi abbiamo arruolato Massimo Di Lauro (violino), Aldo Bergamini (chitarra), Giampiero Marchiori (a quei tempi flautista e oggi rinomato fotografo) e vari tastieristi (sempre una categoria difficile da gestire) tra i quali il grande Luigi Ranghino (oggi famosissimo pianista jazz), Claudio Lambertoni e Roberto Giordano. Ora con l’arrivo della splendida persona nonché leggendario musicista Tony Pagliuca delle Orme abbiamo trovato il nuovo assetto per il futuro. 

Quindi ricapitolando chi suona ora nel Castello?
Aldo, Paolo e io siamo i tre “sopravvissuti”, i componenti “storici” e fondatori della band, quelli che hanno resistito con testardaggine al tempo e alle mode di tutti questi anni trascorsi insieme. Massimo ha dovuto, per importantissime necessità personali, appendere il violino al chiodo, ma dall’esterno collabora ed è sempre presente nei nostri lavori discografici. Oltre a Tony Pagliuca ci sono poi Mattia Garimanno (batteria, allievo del grande Furio Chirico) e Andrea Bertino (violino, membro dell’orchestra di Rondò Veneziano diretta dal maestro Reverberi)

Mi racconti ora il primo ricordo che hai del gruppo? Che anno era?
Sono tantissime le immagini che ho scolpite nella memoria e i ricordi si accatastano uno sopra l’altro, ed è difficile estrarne solo alcuni. Dopo che Paolo e io abbiamo dato inizio alla grande avventura, dal 1974 al 2014 abbiamo fatto tantissimi concerti,  dal teatrino della parrocchia di Pontestura  al Gran Teatro De La Musica di Mexicali in Messico, dai paesini del Monferrato al tour del Giappone (Tokyo, Nagoya, Kyoto). Tante registrazioni con i mezzi dell’epoca, un 45 giri autoprodotto nel 1983, otto CD e un DVD Live ufficiali, tante composizioni che scaturivano da una fervida e giovanile esuberanza creativa, tante prove fatte in un cascinale (ancora oggi proviamo in una cascina persa tra le risaie), che a volte ci accoglieva in pieno inverno, temperatura esterna di meno sei gradi, con la stufa a kerosene completamente intasata e inesorabilmente spenta!!!  Per non parlare dei concerti fatti in un campo da calcio, senza copertura alcuna e dove l’erba era un miraggio, alle due di pomeriggio e sotto il sole della Pianura Padana in piena estate a più quaranta gradi!!!  Una gran bella storia, sicuramente comune a tante altre rock band del passato, che sarà raccontata su di un libro (Paolo la sta scrivendo) di prossima pubblicazione. Oggi giriamo il mondo con i nostri concerti (Giappone, Indonesia, Messico, Stati Uniti, Canada, Lituania, Olanda, Francia) e tra poco uscirà il nostro nono lavoro discografico, eppure pensare a quei momenti ci fa ancora malinconicamente sorridere.  

Quali sono i motivi che vi hanno spinto a  suonare prog e non heavy metal o folk-rock o rock’n’roll o jazz o altro ancora?
Mah, non c’è una ragione specifica, se non che a quei tempi noi ascoltavamo prevalentemente il prog. Forse perché questa musica suonava alle nostre orecchie in maniera diversa dagli altri miti rock dell’epoca (Led Zeppelin, Black Sabbath, Who, Soft Machine, eccetera) e poi perché tra i giovani locali noi eravamo gli unici a suonare quel genere, e se non proprio gli unici eravamo comunque considerati come le mosche bianche. A noi le sfide sono sempre piaciute, e la sfida con la musica prog era proprio stimolante. Era molto più facile salire sul palco e farsi apprezzare proponendo Hey Joe di Jimi Hendrix piuttosto che Smoke on the water dei Deep Purple, mentre ben più ostico era far digerire violino, flauto e suoni vellutati di tastiera con composizioni proprie. Ma a noi piaceva così e poi Paolo e io già avevamo sperimentato il prog con le nostre band precedenti (Paolo con un genere prossimo ai Nice e io al Banco).  

E in particolare che modelli avevate di fronte allora e quali oggigiorno?
A quei tempi le nostre maggiori fonti di ispirazione erano Genesis, Jethro Tull, Yes, PFM e Banco. Nel tempo la nostra musica si è arricchita e affinata, attingendo ad altri modelli, sempre di ambiente prog, quali per esempio gli americani Spock’s Beard di Alan Morse (con le tastiere di Ryo Okumoto), Transatlantic (il supergruppo di Neal Morse, Mike Portnoy, Roine Stolt e Pete Trewavas), Steven Wilson (ex Porcupine Tree) e molti altri. Insomma le nostre orecchie hanno incominciato a superare i confini ristretti del progressive internazionale datato e di quello nostrano.  

Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associate alla vostra musica?
Spontaneità, creatività, amicizia, sincerità. Se vuoi sono termini un po’ scontati e comuni, ma per noi sono reali. 

Tra i molti dischi che avete fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
Senza ombra di dubbio il primo e l’ultimo. Da un lato Sono io il Signore delle terre a Nord (1992) perché ha segnato l’inizio della nostra avventura discografica e contiene una selezione tra il meglio delle nostre composizioni dal 1974 al 1992 che, sino a quel momento, giacevano sonnecchianti nei nostri spartiti.  Peraltro ancora oggi è il disco più venduto e ancora ricercato dagli amanti del prog. Dall’altro lato c’è ora Capitolo 8 Live (2014) perché racchiude in un concerto tutto il meglio della produzione della band, e costituisce la contemporanea chiusura di un capitolo musicale durato 40 anni (a cui sono legato in modo assolutamente viscerale) e l’apertura di quello nuovo che durerà almeno altri 40! In tal senso l’entrata della nuova linfa è testimoniata dalla presenza dei giovani “castellani” Mattia e Andrea, testimoni ed eredi del futuro Castello.

Il  momento più bello della carriera del Castello?
Forse il “concerto della vita” che abbiamo fatto a Quebec City nel 2013, quando tutto il teatro si è alzato in piedi alla fine del secondo pezzo e così è stato sino alla fine del secondo bis (il terzo non ce lo hanno fatto fare perché dopo di noi suonavano i Flower Kings!). Quest’anno ci ritorniamo, perché l’organizzazione del festival Terra Incognita Convention ci ha richiamato e, guarda caso, dopo di noi suonerà ancora Roine Stolt ma con la sua band.

Quali sono i musicisti con cui amate incontravi e collaborare? A chi avete fatto da ‘apripista’?
Abbiamo avuto molta fortuna in questo senso, perché l’essere presenti ai grandi festivals internazionali ci ha dato la possibilità di conoscere e anche collaborare a volte con celebri musicisti dell’area progressive. Mi piace citare fra i tanti Bernardo Lanzetti con i Mangala Vallis (per ben due volte abbiamo suonato con loro); Baraka e KBB due splendide band giapponesi che ci hanno accompagnato nel Japan Tour 2008; l’americana Linda Cushma, membro della band Oxygene8 e virtuosa dello stick, che ha cantato con il Castello in alcuni concerti; Antonio Bringas (batteria) e Claudio Cordero (chitarre) eccellenti e famosi musicisti messicani nella band Cast (sostanzialmente i Genesis del Messico), anche loro sul palco con noi. Per non parlare poi di Furio Chirico, Iano Nicolò, Beppe Crovella e tanti tanti altri. Personalmente ho collaborato anche con Arjen Lucassen e David Jackson (la leggenda dei Van Der Graf Generator), suonando con loro nel 2013 sul disco della prog band italiana Pandora.

E non avete di sicuro perso le occasioni per fare da “apripista” a grossi nomi della musica rock…
Certo, ad esempio, New Trolls, Gens de la Lune (la PFM francese), Flower Kings e - udite udite - Fish, l’ex cantante dei Marillion, in occasione della nostra partecipazione (con P.F.M., Osanna e Museo Rosembach) al Baja Prog 2014 in Messico. Ti confesso che suonare in apertura dei concerti di personaggi di tale levatura è un’emozione indescrivibile oltre che essere un onore! 

E come vedi la situazione della musica in l’Italia rispetto all’estero?
Amo fare sempre un esempio “esemplificativo”: quando abbiamo suonato nel 2010 al Prog Festival Crescendo in Francia (splendida location a Saint Palais sur Mer) erano in duemila a sentirci, con età compresa tra 16 e 80 anni! Stiamo parlando di un festival progressive, quel genere musicale tanto considerato morto e sepolto in Italia! Il fatto che sia alta la partecipazione a manifestazioni “di nicchia” (così si dice da noi), con pubblico di tutte le età, si giustifica con quanto viene diffuso dai mezzi di comunicazione, non c’è niente da fare. In Italia gli stadi si riempiono con Vasco, Ligabue o i Modà, mica con i Flower Kings o gli Osanna!  

Cosa state progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
 In primis ci sarà l’uscita dell’ultimo disco del Castello intitolato Arx Atlantis, che in realtà sarebbe dovuto essere già pubblicato da qualche mese. L’entrata della band di Tony Pagliuca ci ha necessariamente costretti ad attendere. Tony vuol essere presente in questo lavoro e ci sta attivamente lavorando. Sarà un gran bel lavoro e, con la firma e la presenza anche di una leggenda del prog italiano, potete aspettarvi un album molto significativo e molto più incisivo rispetto al passato. Siamo poi stati invitati a partecipare al progetto musicale della rivista finlandese ‘Colossus’, basato sul “Decameron” di Giovanni Boccaccio. Musicheremo la seconda novella della decina giornata “Ghino di Tacco e l’abate di Clignì”, pezzo che vede come coautore lo stesso Pagliuca. Nel frattempo Paolo sta ultimando di scrivere il libro, di cui ho già parlato, con la nostra storia tra il serio e il faceto, sicuramente. 
 
Come vuoi concludere quest’intervista?
Dicendo che il prog è vivo e vegeto, soprattutto quello italiano che è tanto considerato e apprezzato nel mondo. Bisognerebbe che qualcuno, in alto, prendesse seriamente coscienza di questo fatto e ci riservasse nel panorama musicale nostrano la giusta e doverosa collocazione.

INTERVISTA DI GUIDO MICHELONE

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